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TROPEA E IL SUO CIRCONDARIO

Drapia, Parghelia, Ricadi, Spilinga, Zaccanopoli, Zambrone

da

IL REGNO DELLE DUE SICILIE

Napoli, 1859

Distretto di Monteleone di Calabria

A cura di Gaetano Luciano

RICADI

dell'Arciprete Petracca

   RICADI. Costituiscono questo Comune di terza Classe nel Circondario di Tropea, Distretto di Monteleone, Provincia di Calabria ultra seconda, otto Villaggi, che han nome Ricadi, Orsigliadi, Brivadi, S. Nicolò, Lampazoni, Barbalaconi, Ciaramiti, e S. Domenica.

   Dipende dal Giudicato Regio e dalla Curia Vescovile di Tropea, dai Tribunali civile e criminale e dalla Gran Corte Civile di Catanzaro. L'Officina delle poste e de' procacci è quella di Monteleone.

   Confina a Settentrione col Comune di Tropea, e ne dista miglia sette; a Mezzogiorno col Comune di Joppolo distante miglia dieci circa; ad Oriente col Comune di Spilinga e con quello di Drapia, dai quali dista rispettivamente miglia sei circa e miglia cinque all'incirca, restando diviso da Drapia nella sua parte superiore, lungo il territorio di Lampazoni per mezzo del fiume Vaticano; ed a Ponente col Mar Tirreno dal quale dista miglia cinque circa.

   Dista poi dal Capoluogo del Distretto miglia 18, da quello della Provincia miglia 39, dalla Capitale miglia 300 circa.

   Situazione topografica del Comune, e posizione relativa dei Casali che lo compongono. Giace il Comune di Ricadi lungo la riva del Mar Tirreno, il quale bagnandone tutta la costa occidentale, vi forma ove lunghe spiagge, ove piccioli seni con ridossi propizii alle navi. Immensi spazi seminati di scogli, che s'intersecano fra loro, e si elevano svariatamente, racchiudendo in mille andirivieni il mare, che vi s'interpone ed allarga in tratti ove più ed ove meno profondi, offrono in quelle acque limpidissime una rara comodità pe' bagni marini, singolarmente alle donne ed a chiunque teme di affidarsi al mare aperto. Si estende, questa costa dal torrente di Riaci ossia del Campo, fino a quello del Porticello, ov'è la sua maggior lunghezza nella direzione da Tramontana a Mezzogiorno, per circa miglia dieci, ed ha circa quattro miglia di larghezza nella direzione di Levante a Ponente. Elevasi bastantemente il suolo sul livello del mare quasi tutto in linea parallela al medesimo dall'uno all'altro confine, interrotto soltanto verso Tramontana dal profondo e largo torrente della Vrace, e quindi dal fiume Vaticano; il quale viene al Comune di Spilinga, e scorrendo profondissimo in quello di Ricadi, lo divide in due contrade. Quella a destra è detta contrada di S. Domenica, e l'altra a sinistra (che è tre volte più estesa) viene denominata propriamente il Capo. Quivi, addentrandosi nel mare ed estendendovisi a guisa di un poggio terminato a punta, forma il promontorio detto Capo Vaticano. Sopra questa punta, preferibile ad ogni altro sito per le scoperte marittime, è situata la macchina telegrafica, che corrisponde a dritta con quella sita nella contrada S. Domenica. Procedendo lungo la costa nell'interno, il paese presenta allo sguardo sulle prime una vasta ed amena pianura coperta di alberi, per la maggior parte fruttiferi, con parecchi vigneti, e sparsa di molte casine; quindi continuando va sempre gradatamente elevandosi verso Levante, ed ove sale formandovi de' colli, ove scende, e poi torna a salire, piani e colline bellamente alternandosi sopra una superficie solcata da numerosi torrenti, che qua e colà, più o meno profondi, vi serpeggiano. Ricadi, sede del Corpo Municipale, è sito in aperta pianura nella parte più eminente del paese: segue al di sotto verso Ponente, alla distanza di circa dugento passi, Orsigliadi: continuando per la medesima direzione, vengono alla distanza d'un miglio Brivadi e S. Nicolò fra loro vicini: a Tramontana di Ricadi trovansi Lampazoni e Barbalaconi vicinissimi l'uno all'altro: i quali sei villaggi sono tutti al di qua del fiume Vaticano: al di là del fiume, quattro miglia distante da Ricadi, è Ciaramiti, il più piccolo di tutti gli otto villaggi, sito nella erta scoscesa d'un colle: segue poi in piccola distanza nella bassa pianura S. Domenica, che contiene nel suo perimetro abitabile le multiplici casine rurali giacenti a dritta ed a sinistra fino alla costa.

   Orizzonte e clima. Essendo il paese bastantemente elevato sul mare e non ingombro da montagne vicine, vi si gode un orizzonte molto esteso ed ameno per le sue variazioni: onde percorrendo l'occhio liberamente all'intorno apparisce al Sud in distanza l'ultima catena degli Appennini con tutte le adiacenze che formano l'amena riviera della Calabria meridionale al di qua del Faro; poscia il Faro di Messina e tutta la costa settentrionale della Sicilia, nel cui mezzo vedesi a forma d'una bianca piramide (perchè sempre coperta di neve) la parte più alta del Mongibello. Seguono in ordine le Isole Eolie l'una dopo l'altra, e dopo esteso tratto di mare aperto scopresi verso il Nord la continuazione degli Appennini, con le adiacenze marittime della Calabria settentrionale: finalmente, girando lo sguardo all'Est, chiudono la veduta i vicini colli detti dell'Acqua fredda.

   Il clima in generale è temperato e salubre, singolarmente poi in Ricadi, ove respirasi un aere puro, fresco e gradevolissimo nella stagione estiva, e poco rigido è per lo più l'inverno.

   Origine e storia. L'origine di questo Comune, secondo l'opinione di alcuni storici, rimonta, come quella degli altri del Circondario, all'anno 890, epoca della rivolta de' Saraceni. Costoro scacciati dalla città di Tropea per opera di Niceforo Capitano dell'Imperatore Basilio, cercarono di stabilirsi ne' dintorni, ove edificarono delle abitazioni.

   Queste vennero in seguito accresciute e meglio ordinate da parecchie famiglie di Signori della Città medesima, che ne' poderi quivi da loro posseduti, si recavano a villeggiare nella stagione estiva. In seguito, attesa la purezza dell'aere e l'amenità che offre il sito a preferenza della Città, parecchi di costoro vi stabilirono la loro dimora permanente, costruendovi abitazioni a guisa di torri. Si osservano tuttora in conferma di questa opinione gl'immensi sepolcri all'uso saraceno, che si trovano negli scavi della pietra calcarea lungo le adiacenze di santa Domenica e di Ricadi; principalmente in un luogo vicino l'abitato che ancora serba l'antico nome di Rigata ossia Rigate.

   Quest'ultimo villaggio detto oggi Ricadi, che dà il nome a tutto il Comune, fu sempre il principale, e sebbene ora veggasi ridotto a poche case con una popolazione di circa 500 abitanti, fanno tuttavia credere che di qualche considerazione fosse il suo stato primitivo le molte torri di antichissima costruzione, delle quali veggonsi le vestigia, e non pochi ruderi, che giornalmente si scovrono dai naturali ne' dintorni fino alla distanza di circa mezzo miglio. Aggiungi che a memoria de' vecchi del paese, conteneva quel paese nel suo perimetro Case di Ordini Religiosi di uomini e di donne, e vi si celebrava una pubblica Fiera nel luogo detto S. Giacomo adesso ridotto a fondo rustico, che porta ancora lo stesso nome.

   Fu Ricadi nelle varie vicissitudini de' tempi soggetto fin dall'antichità a mille peripezie, onde vennegli il nome di Rigade, interpetrato Rovina della sedia. Merita attenzione il paese nella storia antica per l'insigne battaglia navale combattuta nelle acque del Capo Vaticano fra l'armata di Cesare e quella di Pompeo: e prima di questo avvenimento, per lo approdo delle navi Erculee in un luogo lungo la sua costa, sotto il villaggio di S. Domenica, ove si vuole che scendesse e precisamente alla bocca del torrente la Vrace, la prima volta a terra in questi lidi Ercole coi suoi armati, e vi ponesse il suo primo alloggiamento; per cui il luogo venne chiamato Forum Herculis, e quindi corrottasene la pronunzia, si disse con una sola parola Forumeculis, ed oggi Formeculi o Formiculi.

   E' celebre ancora Ricadi per aver dato i natali all'illustre Vergine e Martire S. Domenica, la quale nacque propriamente nel villaggio, che ne porta il nome, e la cui Chiesa Parrocchiale è alla Santa medesima intitolata, serbandosene le insigni reliquie nella Cattedrale della sudetta città di Tropea, che la venera come sua principale protettrice e sua concittadina.

   Finalmente è assai rinomato per una miracolosa immagine di Nostra Signora sotto il titolo di Virgo Lauretana. Venne questa, secondo la costante tradizione, portata nei tempi degli Iconoclasti da un naviglio incognito, del quale, nel passar che faceva per le acque di Capo Vaticano, si vide ad un tratto arrestato il cammino. E dopo tentato invano ogni mezzo per fargli proseguire la sua rotta, la ciurma accostatasi al lido, depose quella santa Immagine sopra uno scoglio della marina detta oggi S. Maria; e ripigliò poscia felicemente il suo cammino.

   Quivi accorsi tosto per divino impulso i naturali del paese, e precisamente gli abitanti di Ricadi, vi edificarono una Cappella, e sul detto scoglio eressero il piccolo altare, come oggi si vede, sul quale collocarono l'augusta Immagine. E perchè sempre viva fosse nella mente de' posteri la memoria del fatto, fecero dipingere nel soffitto della Cappella, in un gran quadro, il prodigioso avvenimento. Fabbricarono poscia quivi presso alcune cellette, per abitazione de' Romiti, i quali con le oblazioni de' Fedeli mantenevano il debito culto.

   Ora si celebra annualmente nel lunedì di Pasqua una festa solenne, detta comunemente di Galilea, ad onor della Vergine, con immenso concorso de' naturali non solo, ma ben anche di molti forestieri.

   Era un tempo il territorio di Ricadi coperto di annose piante di olivi, delle quali si otteneva ubertosissimo ricolto di olio, e se ne faceva importante esportazione. Nel solo villaggio di Ricadi, per tacere degli altri, erano in attività venti macchine da olio, ed arrivò a tanto la copia di tal genere, che per agevolarne il trasporto alla marina ne' magazzini d'imbarco, venne costruito un canale sotterraneo di stagno, che dalla torre de' Signori Tavuli, percorrendo la distanza di quasi un miglio e mezzo, metteva in una grande cisterna vicino al mare, in un fondo che tuttora chiamasi Cisterna dell'olio: vi si osservano oggidi soltanto gli avanzi di questa cisterna e quelli de' magazzini nella marina. Da questo ricolto, e dal commercio che se ne faceva, non è a dire quanta ricchezza ne traesse il paese; ma disgraziatamente venuta l'occupazione militare francese, ed interrotto il commercio marittimo, non trovandosi a smerciare l'olio, i proprietari, con atto inqualificabile, distrussero gli oliveti, e con essi ogni sorgente di ricchezza. Da allora Ricadi cominciò a decadere dallo stato diprosperità in cui era, e da anno in anno sempre più deteriorando, oggi dirsi il Capo Vaticano nello stato di pauperismo; e perciò i naturali resi inabili al pagamento delle gabelle civiche, dalle quali il Comune, perchè privo di beni, è fortemente gravato per ripartizione, veggonsi in gran parte emigrare alla giornata in altri Comuni.

   Archeologia. All'infuori dei cennati sepolcri, dai quali non si traggono oggetti di arte, non esiste nel recinto di questo Comune verun antico monumento, che meriti attenzione. Non dobbiam tacere però degli avanzi di alcune grosse torri che veggonsi a misurata distanza lungo la costa.

ABITATO

   Prospetto edilizio. Non si vedono in Ricadi edifizii di gran rilievo. Nel prospetto di qualche Chiesa campeggia l'ordine toscano, e talvolta il jonico: nell'interno della maggior parte di esse vedesi l'ordine composito, essendo le altre di architettura più che semplice. Le case son tutte costruite ad un piano di altezza ordinaria, coi terranei corrispondenti; le mura di esse dal pavimento in sopra son formate ordinariamente di cantonetti di terra cruda rettangolari, detti in lingua del posto breste: in tutte si osserva una maniera di costruire comune e senza ornati.

   Comodità pubbliche. In Ricadi è una farmacia ben corredata, la quale provvede di farmachi non solamente questo Comune, ma ancora gli altri. Vi sono quivi due pozzi pubblici di acqua sorgiva salubre, di rara qualità ed abbondante: un altro pozzo simile è nel villaggio di Orsigliadi. Degli altri villaggi poi ciascuno è provveduto di una fontana pubblica. Vi sono ancora lungo la riva del fiume Vaticano sei mulini animati dall'acqua dello stesso, appatenenti ad alcuni proprietari di Tropea.

   Chiese e fondazione di esse. Non esistono attualmente nel Comune altre Chiese, all'infuori delle Parrocchiali, che in Ricadi sono due sotto il titolo una di S. Pietro e l'altra di S. Zaccaria, ed una in ciscuno degli altri villaggi sotto il titolo della Parrocchia rispettiva: quella di Orsigliadi è intitolata a S. Martino, in Brivadi a S. Rosalia, in S. Nicolò a S. Nicola, in Lampazzoni a S. Michele, in Barbalaconi a S. Lucia, in Ciaramiti a S. Paolo, e finalmente a S. Domenica quella del Villaggio che porta il nome di questa Santa. Le quali Chiese tutte riconoscono la loro fondazione dalle Università rispettive; quindi non sono di Padronato di alcuno, ma Chiese Comunali, e perciò di libera collazione del Vescovo di Tropea.

   Festività principali. Oltre le festività de' principali misteri di Nostra Redenzione, e quelle de' Tutelari delle Chiese, si celebrano annualmente nel Comune le seguenti:

   In Ricadi la festa di Nostra Signora di Romania nella Chiesa di S. Pietro, e quella dell'Addolorata nella Chiesa di S. Zaccaria.

   In Orsigliadi quella di Nostra Signora del Rosario.

   In Brivadi quelle dell'Addolorata e del Rosario.

   In S. Nicolò quella di Nostra Signora delle Grazie.

   In Lampazoni quella dell'Immacolata.

   Ed in S. Domenica quelle dell'Addolorata e di S. Nicola.

   Finalmente nella marina di Capo Vaticano la sopraccennata festa di Nostra Signora sotto il titolo di Virgo Lauretana.

SUOLO

   L'estensione totale del suolo è di 20,980 moggia legali di terreno, distinto come segue:

   Seminatorio, moggia........................................ 19,532

   Vigneti, moggia.................................................   1,170

   Coste inculte, moggia.......................................     278

                                                                              ________

                                                                               20,980

   Idrografia. Oltre le acque del fiume Vaticano, dalle quali vengono animati i mulini che trovansi lungo la sua corrente, e che inaffiano tutto il littorale coltivabile, che si estende dalla sua foce presentando una superficie di circa 90 moggia, questo Comune ha delle piccole sorgenti di acqua nelle parti superiori, che offrono poi nel Capoluogo l'acqua potabile in diversi pozzi scavati nella roccia; e nelle parti inferiori, essendo le poche sorgenti a piccola profondità, apprestano a parecchi Villaggi fontane, non che il comodo d'inaffiare mediocri tratti di terreno in parecchi punti.

   Mineralogia. I minerali, che trovansi in questo suolo sono la pietra calcarea, che abbonda in parecchi luoghi; la pietra molare in due soli punti, cioè lungo il litorale di S. Maria, e presso il villaggio di Brivadi, donde si provvedono non solo i mulini di tutto il circondario di Tropea, ma ancora molti altri del Distretto. Esiste pure il granito in diversi luoghi.

   Prodotti spontanei botanici. Abbiamo fatto accenno delle poche produzioni mineralogiche, almeno finora conosciute, non essendosi fatte investigazioni da uomini della scienza. Dobbiamo ora dire che molte piante medicinali di quasi tutte le famiglie, nascono e crescono spontaneamente lungo i viali, i fossati, nelle adiacenze del fiume e dei torrenti, ne' sentieri, negli orti e nelle praterie di tutto il territorio. Non mancano piante dotate di virtù toniche, astringenti, diffusive, narcotiche, deostruenti, antiscorbutiche, sudorifere, emmenagoghe, emetiche, catartiche, diuretiche, espettotanti, corrosive, antielmintiche ed emollienti; quali sono principalmente assenzio, artemisia, abrotano, acetosella, alga, ambrosia, appio officinale, aglio porro, arone, asparago, bardana, bietola, borrana, camedrio, capelvenere, camamilla, canna, carciofoletto, cardo stellato, cicoria selvaggia, cocomero asinino, nasturzio aquatico, ellera, elleboro nero, edera terrestre, ebolo, felce, finocchio officinale, fico officinale, fragola officinale, fusaggine, ginestra, giglio silvestre, gramigna, iride fetida, liquirizia, lattughe sativa e virosa, lupino, luppolo, marrobbio, mirto, melissa, origano, parietaria, piantagine, papavero selvatico, pimpinella, pastinaca selvatica, pomidoro, pruno spinoso, prezzemolo, rusco, rafano selvatico, ricino, rosa, rosmarino, rucola, ruta, salvia, saponaria, sambuco, scilla, senape, solano, smilace, tarassaco, timo, trifoglio fibrino, tossilagine, veccia, verbena, verrucaria e moltissime altre specie, delle quali lungo sarebbe il catalogo.

   Ittiologia. Non poche sono le specie di pesci che prolificano nel propinquo mare; abbondante n'è la pesca, ed i pesci sono squisiti. Ne citeremo alcuni co' nomi che ivi hanno - ricciuole - murene - gongri - luzzi - cernie - dotti - pauri - cefali - triglie - sarachi - palamati - scorfani - strumbi - aguglie - corvelli - tracine - dentici - lupi - sarpe - musci - galli - lunbrine - lumère - occhiate - surici - bujaci - perchie - viviole - vope - sauri - tordi - cerri - gugli - seppie - totani - alici - sarde, e moltissime specie di pescicoli, fra' quali la così detta ambra non nata saporisissima;  ed è singolare poi, sebbene pescasi assai di rado il pesce detto Guglia imperriale, che suol trovarsi del peso di cinque a dieci rotoli; pesce delicatissimo e di squisito sapore - Sono ancora da annoverarsi le ragoste, i lefanti, le cicale, i folloni, i granchi, le trombe, i bocconotti, le sponzale ed i ringi (ricci) marini.

   Agricoltura. Oggetti di coltura sono lino, canape, biade d'ogni sorte, grani duri e teneri, segala, granone, fagiuoli bianchi, cannellini, rossi, neri e minuti, fave grosse e minute, cicerchie, piselli, lenti bianche e nere.

   Stato, ripartizione e sistema di coltivazione. Le terre sono coltivate secondo il vecchio costume del paese, quindi non si vede alcun progresso nell'agricoltura. I terreni seminatori vengono ordinariamente ripartiti in due sezioni, delle quali una si semina a biade diverse, secondo la diversa natura del terreno, e nell'altra si fa maggese per seminarvi canape, granone, cotone, fagioli ed altri legumi - Talvolta sul maggese nell'anno seguente al grano vien sostituito il lino, e ne' terreni irrigabili, dopo la messe, si prepara immediatamente la terra, e si seminano il granone ed i fagioli tardivi.

   Alboricoltura. Moltissime specie di alberi, specialmente fruttiferi, allignano in questo suolo, e non poche piante anche medicinali. Riguardo ai primi van notate varie qualità di olivi, peri in abbondanza, de' quali si contano più di trenta specie, circa venti specie di fichi, oltre i cosi detti ottati (dottati), che costituiscono la maggior parte; dieci specie di ciliege; quindici di susini; gelsi neri e bianchi diversi, melogranati dolci, agrodolci ed amari, pochi meli che fruttificano in estate, e melocotogni; peschi ed albicocchi di varie sorti; mandorli in quantità; giuggioli, carrube, azzeruoli, nespoli, mortelli bianchi domestici, sorbi di varie sorti. Abbondano le viti e se ne contano più di trenta specie diverse; e nella contrada di S. Domenica sono giardini di agrumi, de' quali uno se ne vede pure in S. Nicolò; e finalmente querce, pioppi, salici, olmi ed allori.

   Orticoltura. Si piantano ne' terreni addetti ad ortaggi, cavoli, indivie, rape, ravanelli, agli e cipolle rosse, delle quali s'invia grande quantità nella Capitale ed in Sicilia.

   Prodotto annuale. Le produzioni principali del suolo e dell'agricoltura furono nell'anno 1856:

 

Grano tomoli

Segala tomoli

Granone tomoli

Orzo tomoli

Avena tomoli

Fave tomoli

Fagioli tomoli

Ceci tomoli

Cicerchie tomoli

Lupini tomoli

Vino barili (1)

Olio botti

Fichi secchi tomoli

Mandorle tomoli

Seta libre

Canape cantaja

Lino cantaja

Cotone cantaja 

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8204

388

2985

2204

3088

988

650

616

89

240

80

3

650

100

1600

300

600

700

POPOLAZIONE

La popolazione di tutto il Comune ascende a 2205 abitanti.

    

Condizione naturale.

                    Maschi       ..............................................       639

Celibi

                    Femmine   ...............................................       582

Conjugati    .................................................................       780

                    Maschi       ..............................................         28

Vedovi

                    Femmine    ..............................................       176

                                                                                         -----------

     Totale     .................................................................      2205

   Condizione civile e sociale.

Possidenti numero 15, artieri e domestici numero 19. Preti num. 11. Farmacisti num. 2.

Il resto della popolazione consiste in contadini e braccianti.

   Incremento e decremento della popolazione. Essendo il numero de' nati ordinariamente da 80 a 100, e quello de' morti da 60 a 70 per ogni anno, la popolazione si troverebbe annualmente in aumento, se non avvenissero frequenti emigrazioni per l'esposte cagioni; cosicchè il più delle volte rimane l'avanzo de' nati sui morti compensato con coloro che dal Comune si allontanano.

   Malattie dominanti. Dominato principalmente le febbri intermittenti dette volgarmente terzane, sopratutto nella stagione autunnale. Sono ancora ordinarie la pleuritide detta volgarmente puntura, le febbri gastrico-biliose, e le gastrico-reumatiche: di rado assai si vede qualche malattia nervosa, e giammai malattie contagiose.

   Fisiologia, fisonomia, statura ed indole degli abitanti. Sono gli Abitanti ordinariamente, salvo poche eccezioni, di forte complessione, ben disposti e ben conformati nella persona, e di valida salute. La loro fisonomia è aperta; non disgradevole l'aspetto; tendente al bianco il colore delle carnagioni; neri o castagni i capelli. Giusta è la statura specialmente ne' villaggi superiori, ne' quali trovasi gioventù avvenente in ambi i sessi. Sebbene quasi tutti contadini, mostrano nella loro condizione bastante tendenza al bene, e molta docilità.

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   Qualità religiose. Gli abitanti adempiono senza veruna superstizione a' doveri del culto divino, ed hanno una devozione singolare verso la SS. Vergine sotto i diversi titoli de' quali abbiam fatto accenno. Grande è pure in tutti i Villaggi la devozione verso il Taumaturgo S. Nicola di Bari.

   Qualità morali ed ospitalità. Sensibili nella loro rusticità pe' principii di onore, compassionevoli, e nell'amicizia cordiali e fedeli; sono corrivi all'ira e risoluti. Mostransi sempre umani co' forestieri ai quali fanno cortese e benevola accoglienza.

   Gusto per le belle arti. La scintilla del genio per le belle arti vedesi campeggiare non di rado negli abitanti di questo Comune, ma rimane estinta nel nascere, mancando i mezzi di coltivarla.

   Arti donnesche. Il fuso ed il telajo sono le arti che esercitano le donne del Paese - Esse filano bene il lino, il canape ed il cotone, generi tutti, che si producono nel territorio, e ne fanno tele fortissime, ma ordinariamente strette.

   Uomini illustri. In Ricadi ebbe i natali la famiglia Ruffa, che verso la metà del passato secolo andò a stabilirsi in Tropea. Di questa famiglia fiorirono nell'epoca dell'ultima occupazione francese i tre fratelli D. Giuseppe Antonio, D. Tommaso e D. Gaetano, celebri per la medicina e chirurgia i due primi, e l'altro per le belle lettere, e per ultimo il figlio del Professore D. Tommaso, cav. D. Francesco Ruffa, poeta e scienziato del nostro secolo, il quale fu riputato uomo di gran merito nella Capitale del Regno (2).

   Mezzi per diffondere l'istruzione. Nel Capoluogo del Comune trovasi stabilita una scuola pubblica diretta dal maestro primario col suo sostituto.

   Usi, costumi, dialetto, idiotismi, proverbii e canzoni popolari. Il popolo segue le antiche costumanze del Paese, che per la maggior parte sono le stesse di molti altri luoghi delle Calabrie; noteremo quindi le sole due seguenti: 

   Ne' matrimonii de' contadini e degli artieri, il fidanzato presenta per primo donativo alla sua fidanzata due larghi nastri di seta di color rosso lunghi uno dieci palmi, e l'altro cinque, ed uno spatino (3) di argento. Col primo nastro la fidanzata intreccia i capelli, che poi ravvolge allo spatino, e col secondo legasi il grembiale, facendo svolazzare nel di dietro della persona pomposi fiocchi. Con siffatti ornamenti essa viene da quel punto dichiarata sposa, e per tale viene dal Pubblico ovunque riconosciuta; nè può più lasciarli, poichè smettendoli, fosse pure per un giorno, si reputarebbe come onta imperdonabile fatta allo sposo. 
   Ne' giorni festivi è a notarsi altra usanza che ha molto del ridicolo. Nella vigilia delle feste principali, alla prim'ora, i fanciulli del villaggio accorrono tripudiando al confine dell'abitato, ove hanno di già dato i tamburini che vennero dalla città su' loro sonori strumenti il primo segnale della festa. In compagnia di costoro viene un uomo che indossa vesti da facchino tropeano, il quale scaricatosi di un grosso fardello, che sta quivi sostenendo con una mano, va con l'altra asciugandosi la fronte dal sudore ond'è bagnata a causa del fastidioso carico portato da Tropea fino al paese. Ivi presso vedesi un brulichio, un va vieni, odesi un gridar confuso... Sono que' fanciulli accorsi al tocco de' tamburi, i quali giunti alla distanza di pochi passi, da lieti e vispi ch'eran, si arrestano sorpresi; ed odesi allora un misto di voci fra 'l tripudio e la paura. Perchè ciò?... perchè è venuto il Camelo
(4)! - E' questo Camelo un goffo animalaccio artefatto, lungo circa sette palmi, di forma bizzarra, senza piedi, con lungo e largo dorso simile a quello della testuggine, ma dipinto a strisce di vari colori, con coda di bove, testa di legno nera ed orribile, che somiglia a quella del cavallo, con due occhiacci sempre spalancati; coperto da falda giallastra, che formando continuazione col dorso, cala giù fino a terra a guisa di gonna, e serve a nascondere l'uomo sopradetto, il quale, adagiatasi sugli omeri la goffa bestiaccia camminando la fa camminare e tiene in continuo moto quella nera testaccia, facendole aprire e chiudere incessantemente la bocca senza lingua per mezzo d'un laccio invisibile, che all'uopo ei tira ed allenta; ed or contorcendone il collo, ora allungandolo in alto a guisa del vero Camelo, ed or contorcendolo in mille modi. Siede a cavaliere inchiodato sul dorso di quella strana effigie di animale un moretto di legno dal berrettino rosso, che vien detto il diavolicchio. - Al suono ordinato de' tamburi progredisce il Camelo seguito dalla ciurma festante de' fanciulli, e ballando e movendosi con tutt'agilità in modo strano, e guardando verso le finestre, ove si son già i curiosi affacciati come per salutare il nuovo venuto, fa una corsa per le strade principali del villaggio, e va poi a riposare in casa del Procuratore della festa. Esce quindi di nuovo parecchie volte durante la vigilia, e più allo spesso nel dì della festa (tranne le ore in cui si eseguono le sacre funzioni), percorrere tutti i vicoli, e passando innanzi alle case delle principali famiglie, vi si trattiene a far la sua ballata di ossequio, che termina con un profondissimo inchino, consistente in abbassare sino a terra la testa dalle orecchie d'orso, strisciando ambe le tempia successivamente. Simile inchino vien fatto tutte le volte che s'imbatte in persone autorevoli. Ove osserva gente stare in crocchio, là si dirige, e fatta la sua ballata, va con testa intorno intorno tastando la saccoccia di ognuno, e ad ogni obolo che riceve, ripete il solito profondissimo inchino al donatore: poi congedatosene lietamente ripiglia il suo corso. E' pur curiosissima cosa il vedere quando esso Camelo, o meglio colui che lo muove, si accorge di qualche balordo della plebaglia, il quale avendone paura cerca di darsela a gambe: esso allora gli dà la caccia, come il cane alla lepre; e gli corre dietro di galoppo, seguìto dalla ciurma festante de' fanciulli, che con grida, schiamazzi e fischi dan la baja al povero fuggitivo, sino a che non trovi questi rifugio in qualche casa che rinvenga aperta. - Nel dopo pranzo della festa, verso l'ultima ora, il Camelo fa la sua ballata finale, eseguendo la solita cerimania avanti le case, come per prendere commiato (5), e per avere complimenti casarecci: quanto poi ha compito il giro delle strade tutte del villaggio, si ritira. Così finisce la festosa rappresentanza del Camelo, riguardata di tanta importanza presso il popolo, che non affatto per festa quella, ove mancasse lo spettacolo del Camelo.

   Dialetto. L'idioma del popolo dovrebbe veramente dirsi un misto di greco, ebraico, latino, italiano, francese, spagnolo e siculo. Nondimeno si può annoverare fra quelli che più si approssimano all'italiano, tanto pe' vocaboli, che per le inflessioni della voce, tranne talune asprezze sibilanti, ed un accento tutto proprio. Non si pronunzia tronca veruna parola, ed all'E finale viene sempre nelle parole sostituita la I, tranne il nome Re e la voce E. Questa è favella universale del paese, essendo tutti idioti, ad eccezione de' Preti e de' Gentiluomini, i quali, oltre il natio dialetto, parlano ancora l'italiano studiato. 

   Proverbi. Fra i proverbii del popolo i principali sono i seguenti: L'avere ti fa sapere - Ama chi t'ama e rispondi a chi ti chiama - Non mangiare quant'hai, nè dir quanto sai - Sa più il pazzo in casa sua che il savio in casa altrui - Duro con duro non fabbrica il muro - Chi è in mare naviga e chi è in terra giudica - Quegli solamente pel quale la fiera riesce buona, la loda - Testa che non parla vien chiamata zucca - A chi ha figli ed a chi ha bestie manda le mosche - Una femina ed una somiera fanno una fiera - Messa e biada non scorcia cammino - Pane e manto non pesa tanto - Quando la gatta sorci non piglia, o gatta non è, o a gatta non è figlia, etc.

   Canzoni popolari. Eccone alcune scritte nella lingua del Paese, delle quali parte vengono chiamate di sentimento, parte di amore, e parte di sdegno. Ad evitare la prolissità se ne trascrivono due per ogni categoria.

Di sentimento 
1. 

Turmentatu riloggio addiventai, 
Chi penu e stentu e sempri sona una. 
Uri, minuti e punti su li guai; 
Li roti su li giri di furtuna; 
Spiritu è lu disio, nè fini à mai; 
Marteju è lu turmentu chi mi duna. 
Quandu cridia finiri li miei guai 
Sonaru vintiquattru, e tornu ad una.

Interpretazione

Io son divenuto un orologio dissestato, che pensa, stenta, e suona sempre un'ora. Ore, minuti e punti sono i guai, e giri di fortuna le ruote. Lo spiraglio è il desiderio che non ha mai fine; ed il martello è il tormento che ne ricevo. Allorchè credei finiti i miei guai, suonarono le ventiquattr'ore, e tornai ad un'ora.

2.

 

Orbi mbiati vui chi non viditi 
Li belli donni e no li disiati. 
Surdi mbiati vui chi non sentiti 
Li palori di amuri ntossicati. 
Muti mbiati vui chi non potiti 
Parrari cu li donni tantu amati. 
Morti mbiati vui ch'in terra siti 
Nisciunu vi turmenta e riposati

Interpretazione

 

Ciechi, beati voi che le donne belle non vedete e non desiderate. Sordi, voi felici che non sentite le avvelenate parole di amore. Muti, beati voi che non potete parlare con le tanto amate donne. Morti, voi beati che state sotterra, nessuno vi tormenta, e riposate.

Di amore

1. 

Nasci lu suli e pensu sulu a tia, 
O mia consolatrici, arma mia cara, 
Veni la notti e sta menti sbaria 
Vruscia stu cori comu na carcara 
E jornu e notti passu, Amoru mia! 
Cusi finisci la mia vita amara. 
Infilici sorti mia, chi fu maghia! 
Moru si la tua grazzia no ripara.

Interpretazione

 

Quando sorge il sole, io penso solo a te, o mia consolatrice, anima mia cara. Viene la notte, e la mia mente vaneggia, mentre il core brucia come una fornace da calce. Girono e notte passa, o mio amore, e così finisce la mia amara vita. Disgraziata mia sorte, che fu un'incantesimo! Morrò, se non ripara la tua grazia.

2.

 

Ti fai pi forza, bella mia, ad amari, 
Pirchì parràndu spandi ogni dorcizza: 
Non può, non può nisciunu muntugari 
La bella pompa di la tua grandizza. 
Bella ti puoi a lu mundi tu avantari, 
Pirchi si stata chiara di certizza: 
Tu fai lu stessu amuri annamurari, 
Fai moriri di pena ogni bellizza.

Interpretazione

 

Tu, o bella mia, per forza ti fai amare, perchè nel parlare spandi ogni dolcezza. Niuno può eguagliare la pomposa tua grandezza. E ben ti puoi vantare bella nel mondo perchè tale sei stata davvero. Tù fai innamorare di te lo stesso Amore, e fai morire di pena ogni bellezza.

Di sdegno 
1. 


Sdegnu chi mi sdegnau stu cuori tantu, 
Non vogghiu mu ti viu nè mu ti sentu. 
Quando mi affrunti mi voto di cantu, 
Mu ti dugnu cchiù peni e cchiù turmentu. 
Quandu viu lu Dimonu nò schiantu, 
Ma quandu guarda a tia schiantu e spaventu; 
E mo mi resta sulu mu mi avantu, 
Ca scappai di lu mfernu e su cuntentu.

Interpretazione

 

Sdegno che tanta ira destasti nel mio core, non voglio nè vederti nè sentirti. Quando in te m'imbatto, mi volto all'altra parte, per darli pena e tormento maggiore. Non m'impaurisce la vista del demonio, ma quando vedo te, ne ho doglia e spavento. Alla fine, rimasto solo, posso io vantarmi di esser fuggito dall'inferno, e sono contento.

2.

 

Crudili, mi dassasti in abbandunu, 
Mo la nimica mia sempri sarai, 
Pirchi volisti la mia fidi in dunu 
Io di l'amuri toi troppo fidai. 
Venirà un jornu e cerchirai perdunu, 
Ma perdunu di mia non averai, 
Crudili, allura viderrai m' sunu, 
E di l'arruri toi ti pentirai.

Interpretazione

 

Tu crudele mi hai abbandonato, ed ora sarai sempre mia nemica. Perchè volesti in dono la mia fede, io riposi nell'amor tuo soverchia fidanza. Giorno verrà, e mi chiederai perdono, ma da me non l'avrai. Allora vedrai, crudele, chi io mi sia, e ti pentirai del tuo errore.

     Prognostici. Presso il popolo si hanno i seguenti prognostici fondati sull'esperienza - Nelle stagioni di primavera e di està, quando si vedono i lombrici di terra strisciare sul suolo, si presagisse prossima la pioggia - Se piove il dì 4 Aprile, si attende la continuazione della pioggia per quaranta giorni, onde si ha il proverbio - quattro aprilante quaranta dì durante. - Il canto del gallo pria della mezza notte si ha per presagio di cambiamento di tempo; e nella primavera, dal canto assiduo del gufo si deduce la continuazione del buon tempo.

   Ornamenti e foggia di vestire. La gente di campagna indossa ordinariamente abiti di tela tessuta nel paese, di color turchino o nero.

   Gli uomini portano calzone corto, giacca e sottoveste sino alla cintura, nella quale avvolgono lunga fascia dello stesso colore, con strie bianche o celesti; la testa coprono con berretto lungo, parimenti di color turchino; portane doppio pajo calze, uno che copre tutta la gamba e l'altro sovrapposto sino alla metà; le scarpe sono di grosso cuojo guarnite di chiodi alle suole. 

   Le donne poi indossano pomposa gonna, che scende dalla cintura fino al tallone, largo grembiale di pari lunghezza, un giuppone stretto alla vita, cui ne' mesi estivi vien sostituito un altro senza maniche chiamato corpetto: con largo fazzoletto copron sempre modestamente la testa, e con larghe scarpe van decentemente calzate a seconda dei mezzi. 

   Nella gala delle feste e degli sponsali gli uomini mutano il loro abito di tela in quello di velluto o di panno fino, con sottoveste e fascia talvolta di seta. E le donne parimenti indossano gonna ed il resto puranco di seta con fazzoletti galanti ed ornamenti di oro alle orecchie, al petto ed alle mani, più o meno ricchi a seconda del grado e dell'agiatezza. 

   Le pochissime famiglie de' gentiluomini vestono secondo l'uso della città.

   Degli artieri poi alcuni imitano il vestire de' gentiluomini, ed altri seguono quello de' cittadini.

NOTE

 

(1)  Di questo scarsissimo prodotto è cagione la devastazione prodotta dalla devastatrice crittogama, per effetto della qual da più anni non si ritrae neppure la trentesima parte del prodotto regolare. 

(2)  Leggine i Cenni biografici nella nota della pag. 101 di questo Volume.

(3)  Specie di spillone terminato da due globi anch'essi di argento.

(4)  La festa del Cammello della Ricadi saracenica sembra essere stata posta in ricordo dell'Arabia di Maometto dove sono frequenti i viaggi delle caravane colla bestia paziente dell'Asia. 

(5)  Questa circostanza ricorda la fuga dei Saraceni della Calabria, e il commiato che presero dai loro confratelli. 

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